I luxury brand della moda hanno investito in maniera copiosa su
strategie orientate al total look. Avere consumatori griffati dalla
testa ai piedi con i propri capi ed accessori rappresentava fino a qualche
anno il dediderata più ambito dalle maison più importanti. Camminando
per strada all'inizio degli Anni 2000 non era insolito incontrare
persone che avevano sposato il total look: Armani ha lavorato molto in
tal senso, raggiungendo i risultati migliori.
Oggi si imbeccano con frequenza calante i "dipendenti da una marca": il
total look ha ceduto il posto al mix&match. Non è più un solo brand
a farla da padrone nel guardaroba dei consumatori, né tantomeno un
novero di luxury brand. Attualmente lo (la) shopper predilige la varietà:
eterogeneità in termini di brand, stili, fasce di prezzo, luogo d'acquisto. Zara viene abbinato con Gucci, H&M con Versace, la borsa della nonna con la cinta di Louis Vuitton, un vestito D&G con le scarpe acquistate al mercatino.
I confini sono molto sfumati, i comporamenti di acquisto, forse resi più oculati dalla crisi, sono mutati diventando multiformi. Il cliente del flagship store ubicato in pieno centro è lo stesso che acquista al mercato dell'antiquariato, che visita i negozi dell'usato e le grandi catene della moda low cost. Seguire questo cliente è complesso perchè la multicanalità in questo caso è customer based e non dipende dalle aziende. Una mappatura dei processi decisionali e dei driver di scelta costiuisce una tappa imprescindibile per i brand che vogliono sopravvivere in questo nuovo scenario, per far parte del mix e non esserne estromessi.
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