Lo scorso anno Algida sconvolse il mercato dei freschi prodotti estivi
lanciando Café Zero. Un prodotto che nei fatti ha determinato la
nascita di una nuova categoria merceologica: i soft drink ghiacciati a
metà tra un sorbetto ed un ghiacciolo. Il concept di prodotto mi ha
colpito immediatamente; il naming, invece, ha suscitato in me subito
qualche perplessità.
"Zero" nei sistemi cognitivi di buona parte dei consumatori è associato
all'assenza di una componente/ingrediente: zucchero, grassi, glutine e
così via. C'è un' associazione generale al "risparmio di calorie". Coca-Cola ha dettato il frame concettuale in tal senso. Più di qualche
shopper avrà quindi pensato ad una bevanda senza caffè. Una
comunicazione mirata e l'esperienza del mercato hanno tuttavia
consentito di superare questo errore percettivo.
A distanza di un anno, la storia si ripete. Appare sul mercato Fruit Zero che, oltre ai già condivisi problemi legati allo "Zero", vive la
criticità di un branding debole. Fruit Zero si presenta infatti come una
linea di prodotto del brand Café Zero. Lo sviluppo dei prodotti e dei
relativi marchi appare non armonico. Se c'era l'idea di andare oltre la
versione al caffè, sarebbe stato meglio lavorare su "Zero" (con tutte le
perplessità del caso) come marchio ombrello, piuttosto che sugli
ingredienti. Ora la confusione nella mente del consumatore, limita le
potenzialità dei prodotti.
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